Le colline, in gran parte terrazzate, che a nord di Osimo
compongono il crinale che funge da spartiacque tra due fossi, fosso di Rosciano
e di Castagneto, affluenti di destra dell’Aspio, rivelano un profilo altimetrico
che da Ovest degrada progressivamente verso sud-est prolungandosi in direzione
della sottostante pianura e del contrapposto Monte Conero. In successione dai
360 m. s.l.m. raggiunti da Montecerno (Crescia) si scende ai 320 m. di Monte
Baldo, ai 313 m. di Monte delle Grotte e ai 292 m. di Monte dell’Acqua. Tali
colline proprio per la loro conformazione, per la felice posizione
e per la presenza di acqua furono abitate fin dalle epoche più antiche.
L’evidenza archeologica prova che esse furono prescelte per insediamenti di età
sia protostorica sia romana, rivelando una particolare preferenza per l’età
tardo classica ed ellenistica. A partire dalla fine dell’Ottocento a Montecerno
e a Monte Baldo rinvenimenti più o meno fortuiti permisero il recupero di
materiali relativi in prevalenza a sepolture picene e romane.
Da quanto si è conservato di questi vecchi ritrovamenti, sui quali disponiamo di
testimonianze da parte di studiosi locali (L. Spada e da ultimo R. Mosca) e
sulla base di recenti acquisizioni provenienti da Monte dell’Acqua si può
affermare con certezza che tale area fu frequentata tra VI e V sec.
a.C. e soprattutto in età tardo classica ed ellenistica (tra IV e III sec. a.C.).
Se la fase arcaica può essere convenientemente illustrata da un piccolo gruppo
di oggetti (bacinella ed olpe di bronzo unitamente ad una piccola oinochoe
acroma) del Museo Archeologico Nazionale delle Marche di Ancona, per l’età
classica ed ellenistica si rivelano di particolare interesse sia i materiali
acquisiti di recente dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche a
seguito di sequestro, in quanto rinvenuti abusivamente a Monte dell’Acqua, sia
un gruppo di reperti di proprietà privata messi in luce in anni molto lontani a
Montecerno e dati inregolare deposito al Museo Civico di Osimo.
Si tratta di corredi di sepolture ad inumazione databili nella seconda metà del
IV secolo a.C. Di notevole interesse si rivela l’associazione di oinochoe
alto-adriatica con un’anfora di tipo magno-greco o siciliota unitamente ad un
caldaio di bronzo con attacchi delle anse in ferro.
Tali associazioni trovano interessanti confronti con la tomba 123 dell’area
Quagliotti di Sirolo relativa ad un guerriero inumato in cui è dato riscontrare
la ripetizione della
stessa associazione di calderone di bronzo, anfora di importazione e ceramiche
di tipo alto-adriatico.
Le tombe di Montecerno e di Monte dell’Acqua vengono ad accrescere il numero di
testimonianze relative all’ultima fase della civiltà picena permettendo di
acquisire nuovi dati in merito alla questione dei rapporti tra le popolazioni
dell’hinterland del Conero, Piceni e Senoni, con Numana e i Siracusani di
Ancona.
Nel IV secolo a.C. questi ultimi due centri svolgono un’importante funzione
anche in qualità di mercati per l’acquisto di mercenari d’origine gallica. Alla
grande mobilità di quest’ultimi si addice in modo particolare il carattere
composito delle associazioni funerarie di Montecerno e di Monte dell’Acqua, dove
accanto all’anfora fittile, incompleta (da notare la presenza di una lettera
dipinta di rosso sul collo dell’esemplare da Montecerno che si qualifica come
importazione dalla Sicilia) si segnala l’oinochoe alto-adriatica con profilo
femminile che trova confronti puntuali con esemplari simili dall’isola di Vis
(Issa).
Le oinochoai di Montecerno e Monte dell’Acqua, pur non isolate in area picena
trovano i confronti più puntuali lungo le coste orientali dell’Adriatico,
testimoniando un’intensità di rapporti transmarini finora non adeguatamente
valutata.